Dicono che LO ZIO WILLY parli dell’essere umano. Di ogni essere umano. Dicono che sia contemporaneo. Parlano di rivisitazioni in chiave moderna. Dicono che sia eterno.

Ma cosa vuol dire realmente? Cosa significa? Perché LO ZIO WILLY è così contemporaneo? Attenzione che per essere contemporanei non basta mettersi un abito d’oggi! Non basta ambientare una commedia o una tragedia negli anni ’30 o ’50 o per le strade di una fantomatica città americana!

Qui si parla di pensieri. Di problemi. Di domande. Di tormenti. Di emozioni basic: amore, odio, frustrazione, paura, gelosia, desiderio… Ed io nei vostri volti di “non attori”, liberi dall’ansia professionistica di dover per forza aderire ad un personaggio, lontani dall’avere qualunque pretesa artistica, nei vostri volti di “gente comune” ho visto Shakespeare. E ho sentito Shakespeare. Ciascuno di voi a suo modo, interpretando, re-interpretando, andando verso il personaggio ma senza rinunciare alla propria anima che è indelebile, che è sorprendente (nel senso che neanche voi, noi, sappiamo cosa possa essere e quanto grande possa essere). Questo è il senso della parole di Ofelia qui nel video: “Noi sappiamo chi siamo, ma non sappiamo chi possiamo essere”, ovvero: “Noi conosciamo la nostra prigione fisica, ma non conosciamo le nostre potenzialità interiori, la vastità del nostro spirtito”.

Check it out!

Le notti dello zio Willy.

Van Gogh, Notte stellata (1889)

“Ho passato una notte tremenda,
così piena di orrende visioni, di agghiaccianti sogni,
che, da uomo di fede Cristiana,
non vorrei passare un’altra notte simile,
neanche se fosse per comprare un mondo di giorni felici,
tanto pieno di tetro terrore fu quel tempo!”

(Riccardo III, I, 4)

Se non erro, la notte per LO ZIO WILLY non è proprio sinonimo di serenità e pace. Dalla notte infestata del “Sogno” (non lasciatevi fuorviare dal fatto che sia una commedia, o meglio, che sia “ritenuta” una commedia), alla notte qui sopra citata del povero Clarence nel “Riccardo III”, o dalle scorribande folli (e malignette!) de “La dodicesima notte” fino alla notte ambigua e ingannevole (e dunque araldo di tragedia) di “Otello”, è chiaro che LO ZIO WILLY – che forse non prendeva sonniferi o Xanax o altro – non dormiva bene. Se poi andassimo a contare i fantasmi… urka!!! Il sonno, quello sì, è ben voluto e, anzi, desiderato con malinconia invidiosa e pace amputata. Forse l’unica notte decente è quella del balcone in “Romeo & Giulietta”, ma i due non è che facciano poi una bella fine. Quindi, fate vobis!

A me la notte piace. Moltissimo. Credo di diventare sempre più fotofobico. Di notte tutti dormono, nessuno rompe, mi piacciono persino le voci lontane della strada (quando non sono eccessive) e posso guardare in tv i film horror. La notte! C’è a chi piace, e a chi non piace. A me… piace.

Sleep tight.
E.

Pericle (Pericles)

THE GREAT VAST.

Luglio. Week-end al mare. Ci si prepara per le vacanze. In spiaggia e a casa leggo e studio il “Pericle”. Così tanto vicina all’Odissea – epica amatissima da mio padre che forse si riconosce nel protagonista – l’epopea di questo principe eroico che se ne va su e giù per il Mediterraneo racconta ancora una volta la grande tematica shakespeariana: il viaggio come crescita, la perdita e la privazione e le mille avventure come passaggi obbligati dall’infanzia alla maturità. Insomma, la vecchia storia delle tanto faticose quanto necessarie prove della vita! All’inizio del dramma il Nostro si percepisce come “troppo piccolo” (too little) rispetto al nemico-antagonista (Re Antioco), e perciò, in preda ad un’inspiegabile, misteriosa “malinconia dagli occhi spenti” (dull-eyed melancholy), fugge. E fugge per mare. E il mare è grande, enorme. È “grande vastità” (great vast). Ma è proprio affrontando le onde nemiche, che fra l’altro gli rubano moglie e figlia, che il piccolo Principe dovrà crescere e dimostrarsi all’altezza di tutti i grandi re della Storia, a cominciare da suo padre.

A proposito di prove! Ho fatto un giochino stamattina. Ho contato quante volte la parola “mare” (o simili) compare nel testo. Attenzione però! Nel testo originale inglese, non nelle traduzioni italiane. Here you are! Enjoy! E… buon bagno… se siete o andate al mare…

“Sea” (mare): 31
“Seas” (mari): 7
“Water/s” (acqua/e): 5
“Deep” (profondità, abisso): 3
“Neptune” (Nettuno, dio del mare): 3
“Waves” (onde): 2
“Billow” (massa fluttuante non per forza associata all’acqua, qui nel testo sì): 2
“Watery” (d’acqua): 2
“Ooze”(melma, limo, fanghiglia, impasto di acqua e terra): 1
“Great vast” (grande vastità): 1
“Surges” (cavalloni): 1
“Thetis” (Teti, dea del mare): 1

Il mare è dunque “tomba d’acqua”, “impero d’acqua”, “rude”, “sfortunato”, “mormorante”, luogo di “travagli giornalieri” (ricorda Amleto: “mare di guai”), possiede uno “stomaco”, è “ribelle”… ma, alla fine, è “un mare di gioie”.

Ciao!

“Thus, with a kiss, I die…”

Foto: Mirta Lispi

“Così, con un bacio, io muoio”.
ORGASMO E MORTE nell’opera di W. Shakespeare
reading
sabato 25 febbraio 2017 – ore 17
Studio di Psicologia Santa Costanza
Via di Santa Costanza, 13 – Roma

Se e quando un personaggio dello zio Willy raggiunge la propria pienezza, la propria completezza drammaturgica – psicologica ed emotiva – muore. Se questa completezza viene raggiunta “in età giovanile”, prima del naturale corso della vita (come ad esempio per Romeo e Giulietta; in realtà per tutti gli eroi tragici), il personaggio si uccide: pone fine alla vita fisica perché tanto quella interiore è arrivata al capolinea. E lui, o lei, in fondo lo sa.

In inglese, il verbo morire – to die – significa anche “raggiungere l’orgasmo”. L’orgasmo è la “piccola morte”: il cedimento, la resa, dopo “i travagli” (per dirla con Amleto) dell’atto sessuale, che è metafora universale del viaggio nella vita stessa.

Quindi: raggiungersi, arrivare, svuotarsi; questo è il significato della morte nell’opera dello zio Willy, e, in definitiva, nella tragedia sempre. La catarsi di cui parlavano i Greci è il compimento, anche se doloroso, anche se emotivamente triste (per noi che vi assistiamo!). Il dolore del protagonista, la sua morte (sacrificio o dono fatto al mondo), permette a noi spettatori di piangere e ricordarci di essere vivi. (Nel bellissimo film THE HOURS, il personaggio di Virginia Woolf interpretato dalla Kidman spiega che “il poeta deve morire” perché gli altri possano sopravvivere: si chiama “contrasto”; e il “contrasto” altro non è che l’eterna dualità che comanda l’universo.) In effetti, i personaggi dello zio Willy non sono mai tristi – disperati sì! – quando si tolgono la vita. Anzi, tutt’altro. Sono ben felici – in quel misto di disperazione e fede in un futuro ultraterreno dove i poeti possano venir perdonati – di levarsi da sto mondaccio che ha causato loro solo pene infinite. Sembrano aver capito – in questo la tragedia da arcaica si fa moderna, praticamente apocalittica – che su questa terra non ci può essere pace, né salvezza. Però ci dovevano arrivare. Per un po’ c’ hanno provato (lungo tutte le pagine del loro dramma), a combattere: pieni di speranze e di rabbia e di ideali e di sogni di giustizia. Ma non è così – ahimé – che vanno le cose.

Reciterò e racconterò: Romeo, Giulietta, Otello, Amleto, Lear, M., Riccardo III e altri…

Ingresso: € 10 con aperitivo