MOSTRI

foto: Paolo Boni

Ci sono ogni sorta di mostri nelle opere dello zio Willy.

Partiamo dai più evidenti: creature inumane si trovano nel “Sogno di una notte di mezza estate”, ne “La tempesta” e nel dramma scozzese. In quest’ultimo sono smaccatamente maligne. Negli altri due – trattandosi di una commedia e di un’opera incatalogabile, definita spesso “il testamento spirituale” di Shakespeare, metafora di una vita intera – è molto più difficile ed arbitrario stabilire quanto bene e quanto male vi sia in esse. Dipende dalla lettura che si vuol dar loro. Dipende dall’interpretazione. Il “Sogno “ è stato spesso definito un “incubo” e certamente – se lo chiedete a me – è molto meno divertente e giocoso di quanto non appaia. Ma, come detto, sta alla sensibilità di ciascuno dosare risa e lacrime. La funzione di queste creature in queste opere è quella di “sconvolgere”, di scatenare tempeste interiori o esteriori che distruggono una situazione passata e ne creano una nuova. Sono portatori di riti di passaggio.

Poi ci sono i fantasmi. Abbondano. La loro funzione è invece quella di denunciare la Verità. I fantasmi, venendo o tornando dall’Aldilà, conoscono la Verità, a differenza dei vivi che sono ancora da questa parte della sbarra. Il fantasma di Amleto racconta la verità sulla propria morte e così innesca il dramma. I fantasmi delle vittime di Riccardo III o il fantasma di Giulio Cesare che appare a Bruto hanno la funzione di porre il protagonista davanti alle proprie responsabilità. Da ciò che è successo, non si sfugge. La mente può elaborare alibi di tutti i tipi, ma la coscienza è più forte, più salda, assolutamente non manipolabile. Ed è la coscienza che partorisce i fantasmi che poi vengono a spaventarci e, soprattutto, a richiamarci all’ordine.

Poi ci sono creature mostruose di cui si parla ma che non compaiono sulla scena. Sono i mostri interni. La Regina Mab di Mercuzio è uno di questi. Mab porta i sogni di notte, si presenta come una deliziosa fatina ma alla fine si rivela un’orrenda strega. Mab è frutto della fantasia bipolare di Mercuzio. Mercuzio sta semplicemente parlando di sé, e dichiara di possedere nella propria psiche sia la fatina che l’orrida strega.

Poi ci sono le pozioni: quella che beve Giulietta e che la fa apparire come morta, condannandola all’adempimento di un destino beffardo. Romeo scambia la morte teatrale per una morte reale, e si uccide per lei. Come a dire che – attenzione! – se non riconosciamo che il teatro è un inganno, potremmo lasciarci le penne. Ma ci sono anche pozioni che guariscono: quella che prende il Re in “Tutto è bene quel che finisce bene”, una medicina denigrata dalla scienza comune, dall’Accademia, ma che si rivela portentosa perché “miracolosa”. Attinge la sua forza non dalla materia, ma altrove.

Poi ci sono personaggi “mostruosi”. Proteo ne “I due gentiluomini di Verona” deve il proprio nome ad una creatura della mitologia greca. Proteo era una dio, figlio di Oceano e di Teti, e aveva la capacità di cambiare forma. Il suo talento proteiforme è rappresentato dallo zio Willy come qualcuno capace di disinnamorarsi all’istante della propria amata per innamorarsi subito di un’altra. Proteo si trasforma non senza dolore. Il suo tradimento non è privo di senso di colpa. Anzi. Tuttavia egli non può farne a meno, perché qualcosa in lui sta cambiando o è cambiato. Il fascino di questo personaggio sta proprio nell’inalienabile e inevitabile condanna alla trasformazione. Un essere in divenire, in crescita, che per forza di cose deve tradire il proprio passato.

Viola ne “la dodicesima notte”, travestitasi da uomo e giunta dalla Contessa Olivia che si innamora di lei, parla di sé stessa come di un “povero mostro”. Sempre i travestimenti nelle opere dello zio Willy fanno emergere nel personaggio qualità rimaste assopite. Secoli dopo, Oscar Wilde avrebbe detto: “date all’uomo una maschera e quello vi dirà la verità”. Cosa significa? Che le eroine shakespeariane che si travestono da uomo (Viola, Rosalinda, Giulia, Porzia) scoprono, grazie al travestimento-maschera, di possedere qualità che non sapevano di possedere.  E le acquisiscono. Sotto gli abiti carnevaleschi di un “povero mostro” esse scoprono i talenti del mostro che, una volta dismessi gli abiti, non lasceranno più.

Tornando a Riccardo III. È un dittatore spietato e sanguinario, falso e feroce. È un mostro. Il personaggio somiglia – dicono gli Accademici – al “Vice” delle sacre rappresentazioni medievali, un diavolo che era solo cattivo, un demone senza scrupoli. Ma il Riccardo III di Shakespeare ha sofferto, eccome! È un bambino non voluto di una madre anaffettiva e respingente. La sua deformità fisica (la famosa gobba) è appendice di una deformità interiore. Ma questa deformità  è la causa o il sintomo? Forse, entrambe le cose. Di certo qualcosa in Riccardo ha scelto la strada del male. Questo ai fini della storia. Ma il bambino piangente rimane. E fa pietà.

Il significato etimologico della parola “mostro” è: prodigio, segno divino, monito.

Solo col tempo la parola ha assunto un carattere negativo. Il significato originario sopravvive in quelle espressioni che ancora oggi usiamo: “sei un mostro di bravura!”. Se lo chiedete a me, penso che ciascuno di noi sia un mostro, o abbia un particolare mostro dentro di sé, un qualcosa di unico e di prodigioso, che andrebbe prima riconosciuto e poi coltivato. Ciascuno di noi ha un eroe dentro di sé, o un super-eroe. Ciascuno di noi porta dentro di sé una lezione che potrebbe e dovrebbe impartire agli altri. Ne abbiamo viste alcune: distruggere un vecchio stato obsoleto e crearne uno nuovo (come le fate del “Sogno”), oppure denunciare la Verità (come i fantasmi), oppure essere capaci di trasformarsi ma mai senza coscienza (come Proteo), oppure assumere su di sé qualità che ci erano sconosciute e farle nostre (come Viola o Porzia e le altre).  Ogni talento ci pone davanti a un bivio: usarlo per il bene o per il male. E qui si apre una discussione che non sta di casa in questa sede.

Ogni personaggio dello zio Willy è un mostro. Romeo è un mostro di passionalità, Giulietta un mostro di coraggio. Amleto un mostro di introspezione, Lear un mostro di egocentrismo. Otello un mostro di stupidità, Desdemona un mostro di innocenza. Rosalinda un mostro di arguzia, Viola un mostro di lucidità, Porzia un mostro di ingegno. E così via.

E voi? Cosa potreste insegnare agli altri? Cosa sapete fare che gli altri non sanno fare? Qual è il vostro mostro? Ricordate però che il vero mostro interiore… non agisce e non esercita la propria prodigiosa funzione senza dolore…

E. Petronio

 

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