MAMMA

Coriolano. Non è un nome. È un titolo. Qualcosa di molto diverso, e di molto lontano, da quel bambino che si chiamava Caio Marzio. Ma mamma Volumnia (a proposito di nomi, che nome inquietante!) ne ha fatto un soldato. Ne ha voluto fare un soldato. Anzi, un super-soldato. Un robot indistruttibile incapace di sentire paura, incapace di arrendersi, incapace di auto-indulgenza. Un uomo integerrimo dedito solo al proprio lavoro: fare la guerra in nome di Roma. “Mamma, che cosa hai fatto?”, dirà più in là nel dramma il piccolo-adulto Caio Marzio, disperato, intendendo: che cosa hai fatto “di me”, che cosa hai fatto “a me”?

C’è una cosa però che mamma non ha potuto appiccicare sull’animo del figlio. La predisposizione alla politica, alla retorica ipocrita dei Palazzi, mirata alle folle, il sapersi accattivare il favore della gente con parole fantasma. “Mamma ha voluto che io facessi il soldato, sì, ma quello almeno lo faccio a modo mio. Senza mentire. Vado, distruggo e torno. Non voglio sentir blaterare di onori o di orgoglio”, questi i pensieri di Caio Marzio dietro agli splendidi versi dello zio Willy, se potessimo udirli.

Ma purtroppo ( o per fortuna per noi che ci godiamo il dramma) Roma non ci sta a tanta sincerità. Roma vuole i discorsi. E per fare breve una storia lunga, Roma si offende con il suo difensore. E gli dà del traditore. E lo bandisce. Così, in uno splendido momento di lucida angoscia, Caio Marzio bandisce Roma… dal proprio cuore. E addio, “salutame ‘a soreta!”

Quindi raggiunge il suo acerrimo nemico, perché il nemico ha sempre quel qualcosa che a te manca, ed ecco perché si chiama “antagonista”. Aufidio rappresenta tutto ciò che Caio Marzio non è: purezza, coerenza fra ciò che si è e ciò che si fa, un solo centro e non due lacerate metà. Aufidio si dimostra, anzi, di potrebbe dimostrare un’ottima scuola per il Nostro. Uso il condizionale perché – ahimé – Marzio ricascherà nel suo vecchio errore: cercare di compiacere tutti, e mai sé stesso. Ma siamo andati già troppo avanti. Torniamo alla questione “mamma”. Torniamo alla scena in cui Mamy corre dal figlio, a rimproverarlo di aver lasciato Roma, a implorare il suo perdono, la pietà per il suo popolo. Insomma, a manipolarlo.

Devo dire che rimango strabiliato quando rileggo questa scena. Ogni volta. Sì, che Shakespeare sia sempre attuale ormai lo abbiamo e lo hanno detto in tutte le salse; ma che abbia saputo con tale competenza esporre e rappresentare un problema così psicologicamente contemporaneo come il rapporto fra una madre castrante e il figlio maschio, con tale esattezza di risvolti e di sfumature e dettagli, e con tale limpida preveggenza, lavorando sulle ragioni di ciascuno e bilanciando in ogni momento il dramma con tale onesta visione, è davvero sorprendente. Il “Coriolano” è sorprendente. Sembra che Shakespeare abbia letto non solo Eschilo, ma Freud & Company appropriandosi di quelle mappe della mente e di quelle scoperte, anacronisticamente (secoli prima), con un know-how praticamente scientifico . La mamma che rimprovera al figlio di non essere “onesto”. E ha ragione. Solo che è proprio lei ad impedirgli di esserlo. Ma è anche vero che, una volta per tutte, dovrebbe essere compito del figlio prendersi la responsabilità di dare un dispiacere a mamma e finalmente “diventare onesto con sé stesso”.

Il piccolo Marzio, condannato dalla propri rabbia, imperdonata, a rimanere un bambino dilaniato fra i propri sogni e quelli di tutti gli altri, si vota alla morte, scandendo infine i versi:

“O, madre mia, madre! Oh!
Hai vinto una vittoria felice per Roma.
Ma per tuo figlio – credilo, oh, credilo –
Pericolosamente hai prevalso su di lui,
se non addirittura per lui mortalmente”.
(atto V, scena 3)

“Your Mom… ”

Enry

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