L’altro giorno, mentre camminavo verso casa, la mascherina sul viso e gli occhiali da sole appannati dal respiro intrappolato, sono stato colto da una botta di nostalgia. Nostalgia per quando potevamo uscire a fare una pizza fuori senza pensieri. Nostalgia per quando potevamo scegliere di andare in palestra a farci una bella sudata senza pensieri. Per quando se qualcuno ti starnutiva accanto non ti prendeva un coccolone. Per quando potevi invitare a casa amici e parenti e abbracciarli e baciarli tutti senza ritegno, al riparo da occhi indiscreti. Nostalgia per un vita leggermente con meno problemi.
Problemi. “Problema”. Quale parola shakespeariana! Più shakespeariana – amletica! – di questa non ce n’è! “Problema” (Nota 1).
È tutto un problema. Almeno, sembra esserlo. È la mia prospettiva iper-ansiosa che trasforma la realtà, oggettivamente composta di bello e di brutto, di facile e di difficile, di liscio e di arduo, costantemente in qualcosa di “problematico”? Chissà, forse è così. Forse sono portato a vedere problemi ovunque. Qualcuno una volta disse di me: Enrico è un ottimo risolutore di problemi. Questo perché li anticipo, li immagino, li considero. Perché sto sempre attento (Nota 2). Non si diventa un ottimo risolutore di problemi (altrui) se non si vive con l’idea che tutto possa potenzialmente essere un problema. Qualcun altro una volta disse: Enrico, sei incapace di godere. Anche questo – ahimé – è vero. Nella mia condizione di “ottimo risolutore di problemi” (altrui), come faccio a godere? Se per me la vita è tutto potenzialmente qualcosa di imperfetto che io devo sistemare, come faccio a rilassarmi? Cosa c’è di perfetto per me nell’esistenza? Cioè, di non-problematico, che non necessita di essere risolto?
Vi rispondo subito. Dio. Dio è qualcosa – per me – che non consiste un problema, qualcosa che non devo risolvere. Posso solo goderne. Quando leggo le scritture sento tutti i nervi del mio corpo sciogliersi. Posso solo ammirare, ascoltare, lasciarmi invadere da tanta saggezza e sapere e naturalezza. Così è con la musica. Quando sono circondato dalla musica, sono circondato da Dio. Non c’è nulla di sbagliato, nelle sette note, che io debba correggere, o aiutare, o modificare.
Solo Dio e la musica mi fanno godere. Ah, anche il sesso, certo. Nel sesso ritrovo sia Dio che la musica.
Enrico Petronio
Note:
1 In realtà il termine che Shakespeare usa nel celeberrimo verso – “To be or not to be, that is the question” – non è “problema” ma “domanda”, “questione”. Il fatto che io in questo articolo abbia voluto usare la parola “problema” dimostra solo quanto manipolatoria sia l’operazione del traduttore, il quale, più onestamente o meno, fa dire allo scrittore originale ciò che in realtà lui vorrebbe dire. Ad ogni modo, nel mio caso, il senso del pensiero è il seguente: ogni “domanda” costituisce un “problema” in quanto ci obbliga a scegliere tra una soluzione A e una soluzione B. Davanti ad ogni “domanda” siamo come davanti a un bivio. Ed è questo costante trovarsi obbligatoriamente davanti a dei bivi che trovo al tempo stesso eccitante e faticosissimo.
2 Nel termine “attenzione” è insito il concetto di “tensione”. Quando siamo attenti, siamo in tensione. Io sono attento venticinque ore al giorno. Sì, un’ora in più rispetto al cosmico passare del Tempo. Caso mai mi fossi distratto un pochino nelle canoniche ventiquattro ore, posso recuperare nella venticinquesima. Quell’ora in più che ho nell’immaginazione.